A proposito di SICUREZZA, il nostro socio Domenico Concezzi racconta la storia di un REVOLVER e un DOPOBARBA.
Quando si sente dire che l’Italia sarebbe un luogo pericoloso per vivere sappiamo che questo non è vero, perché le statistiche pongono il nostro Paese fra i più sicuri, nonostante la biasimevole malavita che purtroppo abbiamo in diverse biasimevoli forme.
Per apprezzare la nostra sicurezza, vorrei raccontare un’esperienza personale di molti anni fa.
In un mese di Agosto degli anni 70 del secolo scorso, assieme ad una coppia di amici, eravamo in vacanza a Miami – Florida ed una sera ci trovammo ospiti di residenti italiani che abitavano nella località di Key Biscayne. Un ambiente elegante e festoso, ove incontrammo molta gente fra cui un giovane salvadoregno che era a Miami per motivi di studio e che aveva scelto l’ospitalità dei padroni di casa piuttosto che abitare nel Campus universitario. “Per motivi di privacy e di sicurezza”, mi disse il giovane che appariva poco più che ventenne e che stranamente preferiva conversare con me in italiano, piuttosto che partecipare ai vari gruppetti di ospiti che parlavano inglese. Successivamente venni a sapere che, per motivi di sicurezza, il ragazzo preferiva mostrarsi come un turista italiano, piuttosto che un “mesoamericano”.
Noi parlavamo del mio argomento preferito che è la Civiltà pre-colombiana, di cui mi sarebbe piaciuto approfondire la parte relativa al Centro America, magari in un prossimo viaggio. Il ragazzo si illuminò e, senza preamboli, si offrì di fare da guida se la nostra comitiva di vacanzieri avesse voluto visitare la sua terra, che era la Repubblica di El Salvador.
Detto e fatto. In pochi giorni eravamo tutti e sette in aereo con destinazione El Salvador. Dico sette perché anche i padroni di casa di Key Biscayne decisero di unirsi a noi. Il trattamento a bordo fu più che speciale per il semplice fatto che la linea aerea commerciale da noi utilizzata apparteneva alla famiglia della nostra improvvisata “guida turistica” che, per semplicità e privacy, chiamerò Pedro, il quale viaggiava in incognito, come incognita era la sua residenza negli USA, per paura di un possibile rapimento a scopo di riscatto. Questo perché la famiglia di Pedro era una delle più ricche della piccola Repubblica di El Salvador, un piccolo Stato che io solo allora appresi che aveva il primato mondiale di criminalità. Si parlava di una decina di omicidi al giorno su una popolazione di poco più di sei milioni di abitanti. Bande armate che terrorizzavano la società civile, ove convivevano gomito a gomito la povertà estrema e la ricchezza sfrenata.
Il fratello maggiore di Pedro, che per semplicità e privacy chiamerò Pablo, era il capofamiglia che viveva nella capitale San Salvador, in una casa blindata e protetta h24 da guardie private che controllavano il perimetro della villa che aveva due cancelli di entrata ed una segretissima via di fuga mimetizzata in casa.
Da quella casa Pablo gestiva il suo impero economico e finanziario. Nei giorni di punta della raccolta del caffè, mi spiegò che reclutava fino a cinquemila operai, organizzati e disciplinati come un esercito privato. Il giorno successivo al nostro arrivo in città eravamo invitati ad un piccolo ricevimento in casa di Pablo e fummo prelevati in albergo da suoi incaricati con due auto private. A parte la raffinata accoglienza, vorrei riferire due curiose situazioni verificatesi in casa.
Mentre eravamo invitati ad accomodarci nel grandissimo soggiorno di piano terra, io commisi l’errore di sedermi nel divano che era limitrofo a quello che mi veniva indicato e mi rialzai di botto perché sotto al cuscino si avvertiva un ostacolo molto spigoloso. Stranamente mi venne in mente si trattasse di uno schiacciapatate lasciato fuori posto e ne fui imbarazzato. Pablo sorrise, si avvicinò e sollevò il cuscino per mostrarmi un mitragliatore a canna corta, un’arma da guerra, nuova di zecca, che doveva essere sempre a portata di mano. Qui in salotto ne abbiamo tre, mi disse con aria disinvolta, non si sa mai, potremmo essere sorpresi in casa da un’intrusione armata, da parte di malviventi che potrebbero avere eliminato in silenzio le nostre guardie di scorta. Per noi la difesa personale deve essere sempre pronta ed immediata. Così mi spiegava Pablo, il quale era naturalmente armato e, mentre alzava la sua colorata camicetta per accarezzare un’elegante pistola sistemata sulla cintura dei pantaloni, lato sinistro, mi spiegò: vede Signor Domenico, io sono vivo perché sono mancino. Tempo fa, sono stato sorpreso nella mia piantagione da due banditi che mi bloccarono il braccio destro contro il corpo. Fortunatamente io avevo libera la sinistra, feci fuoco sui due e mi liberai dall’abbraccio mortale.
A quel punto, chissà perché io chiesi ove fosse la toilette e Pablo mi indicò una porta in fondo alla sala e si premurò di avvisarmi che nella sala da bagno, su una mensola vicino al water, fra i profumi, c’era un revolver, con colpo in canna e sicura sbloccata, e che era bene che io non la toccassi. Capirà, si giustificò, noi dobbiamo sempre avere un’arma pronta in ogni angolo della casa. Appena entrato, vidi subito una fiammante pistola che luccicava vicino a un dopobarba francese e che mi guardai bene dal toccare. Non avevo mai visto un “bagno armato” ed ebbi paura. Ovviamente anche la moglie di Pablo maneggiava le armi ed era sempre pronta a difendersi.
Potrei continuare con altri particolari, ma mi limiterò a raccontare un altro piccolo episodio come il grido della moglie di Pablo con cui mi bloccò il braccio quando, a bordo della loro automobile che ci portava in campagna, io cercavo di spegnere la mia sigaretta nello scomparto centrale, ove normalmente si trova un posacenere. No! Non aprire! Ci sono le granate incendiarie per la nostra difesa. Poi mi spiegò che, in un percorso isolato, si può rimanere bloccati da un’altra vettura ed è bene avere pronto qualcosa da lanciare contro gli assalitori. Ci sarebbero altri aspetti sulla sicurezza di quella famiglia, fino alla loro residenza di campagna, con i cecchini sul tetto, ma credo che i particolari descritti fin’ora siano sufficienti a descrivere lo stato di estremo allarme in cui si deve vivere quando c’è la vera mancanza di sicurezza. Noi restammo nel Paese solo due giorni, perché il senso di pericolo e di paura ci fece anticipare la partenza verso il vicino Guatemala, ove si respirava un’aria totalmente diversa e potemmo finalmente fare il turismo del Centro-America, che io desideravo da tempo.
Questo ricordo mi fa molto apprezzare la situazione italiana che, nonostante quel che si dice, mi sembra la più sicura del mondo.
Domenico Concezzi