
Giovedì 4 aprile 2019, i Soci del Rotary Club Roma EUR ed i loro ospiti si sono riuniti in conviviale serale presso l’Hotel dei Congressi, in Roma. Al centro dell’attenzione la Conferenza “La nostra Africa” sviluppata dal dottor Michelangelo Bartolo, ideatore della Global Health Telemedicine (GHT) Onlus, un servizio di teleconsulto multi specialistico, affiancato dalla Comunità di Sant’Egidio.
Subito dopo l’”apertura” della serata, alla quale ha dato il via il Presidente Rocco Recce, la dott.ssa Elsa Marchitelli (past President a.r. 2016-2017), ha introdotto e presentato l’ospite, leggendo un C.V. Alla conclusione della lettura , mi sono lestamente appropriato del documento, che ho il piacere di produrre nel seguito:
Ho chiesto al nostro Presidente di poter leggere il c.v. di Michelangelo Bartolo per diverse ragioni: prima di tutto perché, per modestia me ne ha mandato uno brevissimo che non rende il giusto merito alla sua intensa attività; poi, perché sono orgogliosa di averlo qui ad ascoltarlo perché sono sicura che confrontando i suoi ideali con quelli rotariani li troveremo assolutamente sovrapponibili.
Ma c’è anche un altro motivo del tutto personale:Michelangelo è figlio del professor Mauro Bartolo, indimenticabile mio maestro di scienza e di vita, uno dei fondatori del!’ Angiologia italiana, che mi ha contagiato con l’amore per la ricerca e per lo studio di questa materia, allora pressochè sconosciuta.
Michelangelo è suo figlio in tutto, nonostante le differenze caratteriali: li accomuna tra l’altro la sottile ironia con cui entrambi si porgono e con cui affrontano le situazioni, atteggiamento che nel padre era un mezzo per sottrarsi alle lodi e ai complimenti o per criticare con il sorriso le banalità della vita e delle persone.
Michele, per gli amici, è un medico e un angiologo come lui, ma, ben presto ha sentito l’insopprimibile desiderio di fare qualcosa per gli altri e si è avvicinato alla comunità di S.Egidio, in cui, come vedremo, ha svolto ruoli di rilievo, primo tra tutti, contribuendo al!’ideazione del programma DREAM, per la prevenzione e il trattamento del!‘ AIDS e di patologie croniche.
Questo suo impegno è nato in maniera del tutto fortuita: nel 2001 si è ammalato, nella maniera in cui spesso ci si ammala, cioè in occasione di un contagio insospettato, contraendo quella malattia cronica ed inguaribile che viene detta mal d’Africa. Ma questa malattia ha assunto in lui sintomi diversi da quelli più comuni: indubbiamente sarà stato affascinato dai tramonti nella savana, dai suoni e dai colori di questo immenso continente ma ai suoi occhi di medico e di filantropo si sono subito evidenziati i tanti problemi sanitari che affliggono l’Africa e tra questi l’AIDS è indubbiamente uno dei maggiori.
Si è reso conto, però, che per poter fare qualcosa, di questa malattia bisognava innanzitutto apprendere e far apprendere le basi immunologiche, cliniche, farmacologiche di prevenzione e terapia. Allora ha cambiato pelle e con questa nuova pelle ha costruito decine di missioni in diversi stati africani, aprendo centri, fornendoli di materiale sanitario, formando personale medico e infermieristico, approcciando gente abituata a curarsi in modo empirico o a non curarsi per niente.
Grazie a questo impegno, con 60.000 nati sani, ha azzerato la percentuale di bambini nati sieropositivi ed ha ridotto drasticamente la mortalità materna. Intuibili le mille difficoltà con cui si è trovato a combattere e che sono descritte nei suoi libri, di cui vi parlerà. Ma, come vedrete e come hanno detto molti illustri commentatori, da Gervaso a Camilleri, pur affrontando temi durissimi, si muove tra le righe con garbo e grande ironia, appassionandoci e a tratti divertendoci.
Non contento di ciò, dal 2002 si occupa di telemedicina con i paesi in via di sviluppo e dal 2013 è segretario generale della Global Health Telemedicine, una onlus che promuove servizi di teleconsulto multispecialistico. Ad oggi ha aperto 37 centri di telemedicina in 14 Paesi, l’ultimo in febbraio in Tanzania, con 260.000 pazienti curati. E’autore di 4 romanzi, ha ricevuto 30 riconoscimenti letterari, ha rilasciato interviste a giornali, ha partecipato a trasmissioni televisive.
Conoscendo la sua modestia, non proseguo, ma penso che vi siate fatti almeno una idea della persona
e che, come me, siate lieti ed onorati di averlo qui.
Elsa Marchitelli
Le parole che precedono, confermate dalla presentazione del dottor Bartolo che ne è seguita, tracciano l’immagine di un uomo semplice e schivo, dotato di capacità professionali e manageriali, che non avrebbe avuto alcuna difficoltà, nella vita, ad avere successo, esercitando la sua professione, in “patria”, di medico e/o professore affermato. Ma, probabilmente, il dottor Michelangelo Bartolo non si è accontentato della normalità. Ha voluto di più, rispetto al vivere una vita come tanti, quasi tutti. Ha voluto vivere una vita al servizio del prossimo, recandosi in Africa, fra gli ultimi, condividendone i disagi ed i pericoli, nel tentativo di migliorare la loro situazione. Non gli bastava la gratitudine del paziente “normale” (tale, perché curato in ambulatorio attrezzato o in ospedale), ma ha voluto avere la speciale ricompensa quotidiana dei sorrisi di coloro che sono guariti grazie al suo personale intervento (o degli addetti dei team che egli ha organizzato) in Africa, laddove, in mezzo a tante carenze e difficoltà ambientali, la sfida è più difficile: quindi, una ricompensa maggiore e migliore.
Quindi, le missioni in Africa, l’apertura di tanti centri di assistenza, certamente difficile per le ostilità ambientali, che spesso vanificano le migliori intenzioni, elevando barriere di ogni tipo alla riuscita delle migliori intenzioni. La mancanza degli addetti, delle professionalità necessarie, dell’acqua o dell’energia, della lingua o della religione, delle usanze o dei tabù.
Tante battaglie quotidiane, combattute da tutti coloro che vanno a fare volontariato: talvolta perse; talvolta vinte; certamente ancora … tante da combattere.
Tra queste difficoltà il dottor Bartolo ha “sofferto” l’isolamento dal contesto medico ambientale, presenza normale dei paesi civilizzati, dove, alle problematiche quotidiane della malattia, che si palesa spesso in forme sempre nuove, è possibile il ricorso allo specialista, di questa o quella branca della medicina, che ti supporta e ti indirizza nella diagnosi e nella cura. Ma, … in Africa, come si fa?
Al “medico” dottor Bartolo è andato in soccorso la sua originaria competenza di “perito informatico”. Con conoscenze tecniche, apparecchiature e supporti (credo) egli è riuscito a realizzare una piattaforma (possiamo chiamarla così?) di applicazioni e software che ha reso possibile il collegamento telematico, e quindi la comunicazione per avere “aiuti professionali medici” dai medici dei Paesi dell’occidente.
Ma questo, probabilmente, non sarebbe bastato se non fosse intervenuto il terzo profilo del dottor Bartolo, quello di “organizzatore” che ha predisposto, nei Paesi dell’occidente, un servizio di teleconsulto multi specialistico, risultato della collaborazione offerta gratuitamente da un gruppo di tecnici informatici e di medici volontari, che uniscono le loro professionalità per rispondere a quesiti di medici provenienti da paesi in via di sviluppo.
Ha attuato, in conclusione, il Global Health Telemedicine, un sistema di TELEMEDICINA indispensabile per sottrarlo dal suo isolamento.
Per dirlo con parole sue, ha steso … «Un filo diretto tra Africa e Italia: ben 5mila e 500 teleconsulti in 29 centri africani che mettono in collegamento medici italiani con medici e pazienti africani».
La messa in atto di tale sistema è stata certamente ardua all’inizio, per la “inadeguatezza” delle componenti di trasmissione. Probabilmente, è divenuta, con il passare del tempo e lo sviluppo dell’evoluzione tecnologica, meno difficile. Ma, non, per questo, facile.
Grazie, dottor Bartolo, per la sua opera.
Alfredo D’Amato