
Il 18 marzo 2019, presso l’Hotel dei Congressi, in Roma, si è svolto un incontro serale, in modalità Interclub, al quale hanno preso parte i Soci del Rotary Club Roma EUR, dell’Inner Wheel Roma Eur Centro e del Rotary Club Roma Centenario.
Hanno partecipato i Presidenti dei rispettivi Club, Rocco Recce, Grazia Saporito e Lavinia Pellegrini.
Erano presenti tanti ospiti (quasi … troppi, alcuni dei quali pervenuti senza preavviso, obbligando il Prefetto Francesca Staiti e la struttura alberghiera ospite ad agire in emergenza), certamente attratti dall’occasione di ascoltare la relazione della dott.ssa Maddalena Santeroni, storica dell’arte e scrittrice, profonda conoscitrice del tema che sarebbe stato sviluppato nel corso della serata:
Gabriele D’Annunzio, tra letture e curiosità
Negli anni del liceo, il mio insegnante non si soffermò molto su Gabriele D’Annunzio, ma preferì dedicare molto più tempo ed attenzione a Dante Alighieri.
Pertanto, non avendone maturato una adeguata conoscenza, ho molto apprezzato l’occasione prestata dalla dottoressa Maddalena Santeroni per approfondire il tema, sia pur tardamente, per me.
Dalla Relazione molto accurata effettuata su Gabriele D’Annunzio, ricca di aneddoti e curiosità, è emersa la descrizione di una personalità eccentrica e variegata, con moltissimi interessi artistici e partecipazioni sociali.
La Relazione ha suscitato notevole interesse ed ha dato seguito a numerose domande da parte dei presenti. Fra questi, il giovanissimo Francesco Lorido, nipote della past President Elsa Marchitelli, che ha suscitato sorpresa ed ammirazione per la profondità delle domande poste.
Tralasciando il ripercorrere le innumerevoli e svariate vicende della vita del Poeta, che possono essere facilmente consultate via WEB, chi fu e cosa rappresentò per l’Italia Gabriele D’Annunzio?
La risposta è, tutt’ora, controversa.
Secondo Liane de Pougy, ballerina, scrittrice e cortigiana francese della Belle époque, egli era “uno gnomo spaventoso con gli occhi cerchiati di rosso, senza capelli, con denti verdastri, l’alito cattivo e le maniere di un ciarlatano“.
Secondo Hemingway, un “coglione“.
Durante il fascismo, egli fu considerato il Vate d’Italia, e l’incarnazione del “gagliardo spirito nazionale“.
Dunque, chi fu, in effetti, Gabriele D’Annunzio?
Temo che a questa domanda non possa darsi una risposta univoca e si debba ripiegare nel ritenerlo, complessivamente, genio e sregolatezza, artista dotato di una personalità poliedrica, con tante sfaccettature: ragazzo trascurato dalla famiglia; scrittore precoce; burlone: precursore delle fake news; giornalista; attore; seduttore; grande amante; dandy, portato a vivere nel lusso; uomo molto generoso; rovina donne; traditore delle sue donne; mago della pubblicità; grande oratore, trascinatore di folle; guerriero.
Volutamente, ho trascurato una delle tante definizioni che gli si attagliano. Quella che, tutto sommato, preferisco: poeta.
Ed è per questo che concludo col riproporre una delle sue numerose poesie, forse quella che più di altre è rimasta nell’immaginario collettivo:
La pioggia nel pineto
Taci. Su le soglie
del bosco non odo
parole che dici
umane; ma odo
parole più nuove
che parlano gocciole e foglie lontane.
Ascolta. Piove
dalle nuvole sparse.
Piove su le tamerici
salmastre ed arse,
piove su i pini
scagliosi ed irti,
piove su i mirti divini,
su le ginestre fulgenti
di fiori accolti,
su i ginepri folti
di coccole aulenti,
piove su i nostri volti silvani,
piove su le nostre mani ignude,
su i nostri vestimenti leggieri,
su i freschi pensieri
che l’anima schiude novella,
su la favola bella che ieri
t’illuse, che oggi m’illude,
o Ermione.
Odi? La pioggia cade
su la solitaria verdura
con un crepitío che dura
e varia nell’aria
secondo le fronde
più rade, men rade.
Ascolta. Risponde
al pianto il canto delle cicale
che il pianto australe
non impaura,
nè il ciel cinerino.
E il pino
ha un suono, e il mirto
altro suono, e il ginepro
altro ancóra, stromenti diversi
sotto innumerevoli dita.
E immersi noi siam nello spirto silvestre,
d’arborea vita viventi;
e il tuo volto ebro
è molle di pioggia
come una foglia,
e le tue chiome
auliscono come
le chiare ginestre,
o creatura terrestre
che hai nome Ermione.
Ascolta, ascolta. L’accordo
delle aeree cicale
a poco a poco più sordo
si fa sotto il pianto
che cresce;
ma un canto vi si mesce più roco
che di laggiù sale,
dall’umida ombra remota.
Più sordo e più fioco
s’allenta, si spegne.
Sola una nota ancor trema, si spegne,
risorge, trema, si spegne.
Non s’ode voce del mare.
Or s’ode su tutta la fronda
crosciare
l’argentea pioggia
che monda,
il croscio che varia
secondo la fronda
più folta, men folta. Ascolta.
La figlia dell’aria
è muta; ma la figlia
del limo lontana,
la rana, canta nell’ombra più fonda,
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su le tue ciglia,
Ermione.
Piove su le tue ciglia nere
sì che par tu pianga
ma di piacere; non bianca
ma quasi fatta virente,
par da scorza tu esca.
E tutta la vita è in noi fresca
aulente,
il cuor nel petto è come pesca intatta,
tra le pàlpebre gli occhi
son come polle tra l’erbe,
i denti negli alvèoli con come mandorle acerbe.
E andiam di fratta in fratta,
or congiunti or disciolti
e il verde vigor rude
ci allaccia i mallèoli
c’intrica i ginocchi
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su i nostri vólti silvani,
piove su le nostre mani ignude,
su i nostri vestimenti leggieri,
che l’anima schiude novella,
su la favola bella che ieri
m’illuse, che oggi t’illude,
o Ermione.
GABRIELE D’ANNUNZIO
Alfredo D’Amato